Lù Sbantuso NR 3 – IMPRESE E BRACCIANTI AL TEMPO DEL CAPORALATO

Lù Sbantuso

DI DOMENICO ANNICCHIARICO E CIRO MONOPOLI

Come ormai più volte ripetuto dai mass media negli ultimi mesi, il mondo agricolo vive una nuova-vecchia schiavitù: il caporalato.

Ma come? Generazioni intere sono cresciute con questa forma di ricatto/lavorativo e solo adesso lo denunciamo?

Diverse sono state le passerelle televisive delle organizzazioni patronali e sindacali, spacciandosi come paladini a difesa del lavoro. Dove erano fino ad oggi queste persone? Che tipo di accordi hanno preso seduti al tavolo delle contrattazioni?

A detta dei lavoratori (quelli veri) queste organizzazioni fin ora non hanno fatto altro che incrementare questa situazione di assistenzialismo, costringendo sia il proprietario che il lavoratore a rivolgersi a queste figure per svolgere le diverse attività.

E i nostri politici? Da sempre nascosti dietro il pensiero della direzione nazionale del partito, senza mai averci messo realmente la faccia, senza mai aver intrapreso reali azioni di cambiamento?

La figura del caporale riecheggia da nord a sud, da est a ovest, in qualsiasi parte del paese ove si vive di agricoltura o edilizia. Parecchie sono le inchieste e le denunce che ogni anno vengono fuori dalle regioni italiane; a volte sono stranieri, a volte italiani, a volte sono in regola, a volte non lo sono; a volte sono adulti e a volte bambini … quel che resta invariato, è la categoria sociale sfruttata e schiacciata da questo ricatto: persone poco organizzate, poco informate e molto spesso persone che ignorano la possibilità di lavorare diversamente.

La scarsa organizzazione e cooperazione nel mondo agricolo ci rende schiavi dei nostri stessi compaesani che, per comodità, molto spesso sono costretti a rivolgersi ai “caporali” per poter svolgere alcune operazioni in campo. È inutile ora scrivere tutte le debolezze del sistema giudiziario che permette, da una parte, che il caporale continui a sfruttare persone, dall’altra che un lavoratore stagionale possa lavorare solo 152 giorni all’anno percependo poi la famosa disoccupazione … nonostante siano anche proprietari di  un’azienda agricola e continuino a lavorare “a nero” per tutta la restante parte dell’anno, percependo oltretutto agevolazioni fiscali.

Questo modo di lavorare non permette alle aziende agricole “in regola” di emanciparsi e di crescere. Questa legalità a “macchia di leopardo” indebolisce il territorio e soprattutto la forza dei nostri prodotti. Molto spesso a Grottaglie non si riescono a captare fondi o indennizzi per le poche aziende agricole coinvolte … Si! Perché, in effetti, sul territorio, le aziende in regola sono veramente poche. Questo modo di agire e di lavorare rende la categoria imprenditoriale e lavorativa molto debole, tanto da non potersi neanche ribellare al sistema per paura di perdere il lavoro.

Nonostante le denunce contro il caporalato e i controlli alle aziende delle ultime settimane, chi ne paga le conseguenze sono sempre i più piccoli, beccandosi multe per non aver, ad esempio, installato le cinture di sicurezza sul mezzo agricolo; o che si trovano in campagna a vendemmiare con il figlio e la moglie (non assunti). Quest’approccio confonde e offende le reali norme di sicurezza, importantissime in qualsiasi tipo di aziende. Oltretutto, non risolve certo il problema del caporalato perché creerebbe ancor più sfiducia dell’agricoltore nei confronti delle leggi che disciplinano l’agricoltura.

AGRICOLTORI E LAVORATORI TUTTI: SVEGLIAMOCI!!!

Un nuovo sistema lavorativo è possibile: se solo gli operai si organizzassero in piccole cooperative di lavoro e gli imprenditori imparassero a “fare rete” per garantire occupazione, non alimenteremmo il mercato nero con i nostri soldi e la nostra salute, evitando così anche i morti nelle campagne. In altre realtà agricole esistono gruppi di persone che giornalmente cambiano datore di lavoro, che si distinguono per professionalità e mansione, questo metodo si baserebbe sulla meritocrazia e sulla trasparenza e serietà dei lavoratori.